Il divano magico-The magic Sofa
Storia per bambini illustrata-Story for children with drawings
"Supermarket", the book.
Sto finendo di scrivere questo romanzo.
"Francesca è una ragazza che, dopo aver studiato architettura all'università, vista la crisi economica italiana, si ritrova a lavorare in un super mercato. Tra vari intrecci amorosi, Francesca scontra la sua personalità, particolarmente frivola a creativa, con la vita rigida e programmata di questo luogo, così anonimo, ma così pieno di vita, quasi un punto d'incontro per le diverse culture (chi non va al super mercato?). Il ragazzo dei suoi sogni fin dalle elementari, Gianluca, è il rigido e noiosissimo direttore del supermercato. La ragazza a poco a poco riesce a far emergere la sua personalità nel lavoro, coinvolgendo tutti e trasformando il super mercato in un posto creativo, dove scambiarsi consigli sulle ricette e sorrisi.
La direzione del supermercato fa un controllo ed impone una multa al direttore, riscontrando diverse irregolarità dovute alla visione artistica, ma pursempre strampalata di Francesca. Assalità dai sensi di colpa nei confonti di Gianluca lei parte e va alle isole Canarie a ricominciare da capo come cameriera, avvilità. Sarà li che la protagonista riuscirà inaspettatamente a trovare un punto d'incontro tra la sua personalità ed in mondo del lavoro, con un finale tutto a sorpresa."
I'm finising to write this romance:
"Francesca is a girl that, after studing architecture at the university, for the economical crisis, she find her self working in a super market. Between different love stories, Francesca, with her frivolus and creative personality, try to live inside of the rigid and boring reality of this place, so anonymous, but at the same time full of life, a meeting point for different cultures (everybody goes to the supermarket). The boy of her dreams, since the elementary school, Gianluca, is the director of the super market. The girl, slowly, reach how to show her personality in the job, involing everybody and trasforming the super market in a creative place, where sharing cooking advices and smiles.
But the direction of the supermarket control the shop and make a big bill to the director for the several irregularities for the artistic ideas of Francesca. Feeling very guilty to Gianluca, Francesca leaves and goes to live in Canaries islands, she starts a new life like a waiter, sad and depressed. And there the protagonist will find unexpectly, a meeting point between her personality and the job, with a surprise final."
Ecco il primo capitolo, per avere un assaggio, buona lettura!
Era la vigilia di Natale.
Tutto sembrava scorrere nell’assoluta monotonia, come sempre, nella città di Mestre, disordinata e decadente cittadina accanto alla splendida ed eterna Venezia. Le mamme portavano i bambini al patronato, annoiate e stanche, tra le vaporizzazioni cristalline della nebbia, i capelli raccolti in una coda veloce, per la messa di Natale. A turno i bambini dovevano cantare “Albero, bell’ albero” o nel migliore dei casi “Tu scendi dalle stelle” davanti all’altare, in gruppi di sei, sette.
E’ qui che compare il nostro strano personaggio. Io. Francesca. Uno scherzo della natura.
Non si sa bene il perché l’erba si ostini a crescere tra le crepe del cemento, perché le donne, le persone di colore o gli omosessuali non si stufino mai, storicamente, malgrado la solitudine e le incomprensioni, di difendere i loro diritti, o perché spesso i figli dei business men sfoggino un abbigliamento da mercatino dell’usato di Bologna, talento nella chitarra, ed allergia per i bilanci aziendali, comunque fatto sta che alzai la mano entusiasta quel giorno a sei anni in chiesa, il parroco mi guardo con compassione e mi face cenno di venire, malgrado non facessi proprio parte del gruppo del coro. Arrivai all’altare frettolosa ed agitata e, con grande convinzione, con l’aiuto della potente acustica del grande tetto di cemento armato anni 70’, intonai:
“E Ancora ti chiamerò, trottolino amoroso, du du da da da, e il tuo nome sarà, il nome di ogni città, e un gattino annaffiato che miagolerà, il tuo nome sarà su un cartellone che fa, della pubblicità, sulla strada per me ed io con il naso in su, la testa ci sbatterò, sempre la, sempre tu …”
Guardavo fisso il volto di mia mamma illuminarsi ,mentre si tratteneva da una grassa risata allegra. Fu un successo. Ad un tratto, per la prima volta, la chiesa rideva. Bastava così poco, una piccola perdita di controllo, a rendere un posto dove i bambini non volevano andare in un momento di gioia. Riuscì ad arrivare fino alla fine della canzone inventando di tanto in tanto le parole.
Presa dall’entusiasmo continuai a coltivare la mia dote canterina, ad esempio con le canzoni di Tina Turner: inventavo di sana pianta le parole, non sapevo nemmeno che esistesse la lingua inglese, e mi agitavo come una trota fuori dall’acqua per poi cadere per terra esausta alla fine del brano. Oppure con le canzoni di Irene Grandi: correvo in mezzo ai presenti a passo saltellato, cercando di toccare il maggior numero di persone possibili, scombinandogli i capelli e cantando:
“Bum Bum, batte il cuore, Bum Bum, il mondo è un giro tondo, no che non scendo. Ancora, Bum Bum, batte il sole, Bum Bum, la vita gira in tondo, casca giù il mondo...”
alla fine della canzone cadevo sempre per terra, anche in quel caso. Il trucco per il successo era la convinzione e l’esagerazione, pensavo.
Amavo cantare da sola in piscina, quando mamma e papà mi portavano, con braccioli e salvagente gonfiabile (potete immaginarvi la scena), cercavo di inventare nuovi testi, per lo più molto romantici, ricevendo ogni tanto un mezzo sguardo sconsolato, ma divertito, dai miei genitori.
Se non altro quello era l’unico modo per far ridere il bambino dei miei sogni, che altrimenti non avrebbe mai saputo della mia esistenza. Diciamo che, si, ricordava il mio nome. L’aveva detto un paio di volte ad altri, senza mai guardarmi in faccia. Passavo le giornate ad osservarlo di nascosto, nei suoi strani modi da bambino speciale, che inspiegabilmente aveva già sviluppato una sua indipendenza di pensiero. Sbirciavo i suoi folti peli biondi sulle sue gambe incrociate, nel cerchio della riunione scout, attorno al fuoco. Cosa avrei dato per accarezzare quei peli luminosi, che decoravano così perfettamente la sua pelle dorata che profumava di erba fresca. Cosa avevano mai di tanto speciale quei peli?! Col senno di poi ben poco. Un pelo è pur sempre qualcosa di superfluo, e non solo quello lo è. Ma quando si è giovani ed inesperti spesso il desiderio si concentra su cose di poco valore. Il valore è sempre dentro di noi. Sta di fatto che ci vollero anni perché mi deconcentrassi da quel pensiero così dolce, quanto amaro. Farlo ridere era poco, ma era già qualcosa. Una prova della mia esistenza su questa terra.
Essendo l’unica bambina della scuola elementare incapace di fare l’esercizio della “ruota”, odiavo la competizione e ai corsi di danza, con le ragazzine che con i loro esili corpicini ruotavano le gambette in modi che a me comunicavano solo una grande mancanza di gravità e pericolo, scappavo con il cuore in tumulto, dentro di me una vergogna profonda ed inconsolabile per la mia diversità. Non potendo partecipare come le altre al balletto di fine anno, molto tempo lo dedicavo a disegnare, con il naso spiaccicato al foglio da disegno e la bocca spalancata, la bava che, se non mettevo attenzione, usciva dalla bocca in lunghi e imbarazzanti fili lucenti. Cadevo quasi in trans, minuziosa nei minimi particolari, inconsapevole che tutte quelle ore mi avrebberò fottuto la vista e complicato la vita per sempre, facendomi osservare le cose, ma soprattutto le persone, solo da molto vicino.
Francesca Bonollo
"Francesca è una ragazza che, dopo aver studiato architettura all'università, vista la crisi economica italiana, si ritrova a lavorare in un super mercato. Tra vari intrecci amorosi, Francesca scontra la sua personalità, particolarmente frivola a creativa, con la vita rigida e programmata di questo luogo, così anonimo, ma così pieno di vita, quasi un punto d'incontro per le diverse culture (chi non va al super mercato?). Il ragazzo dei suoi sogni fin dalle elementari, Gianluca, è il rigido e noiosissimo direttore del supermercato. La ragazza a poco a poco riesce a far emergere la sua personalità nel lavoro, coinvolgendo tutti e trasformando il super mercato in un posto creativo, dove scambiarsi consigli sulle ricette e sorrisi.
La direzione del supermercato fa un controllo ed impone una multa al direttore, riscontrando diverse irregolarità dovute alla visione artistica, ma pursempre strampalata di Francesca. Assalità dai sensi di colpa nei confonti di Gianluca lei parte e va alle isole Canarie a ricominciare da capo come cameriera, avvilità. Sarà li che la protagonista riuscirà inaspettatamente a trovare un punto d'incontro tra la sua personalità ed in mondo del lavoro, con un finale tutto a sorpresa."
I'm finising to write this romance:
"Francesca is a girl that, after studing architecture at the university, for the economical crisis, she find her self working in a super market. Between different love stories, Francesca, with her frivolus and creative personality, try to live inside of the rigid and boring reality of this place, so anonymous, but at the same time full of life, a meeting point for different cultures (everybody goes to the supermarket). The boy of her dreams, since the elementary school, Gianluca, is the director of the super market. The girl, slowly, reach how to show her personality in the job, involing everybody and trasforming the super market in a creative place, where sharing cooking advices and smiles.
But the direction of the supermarket control the shop and make a big bill to the director for the several irregularities for the artistic ideas of Francesca. Feeling very guilty to Gianluca, Francesca leaves and goes to live in Canaries islands, she starts a new life like a waiter, sad and depressed. And there the protagonist will find unexpectly, a meeting point between her personality and the job, with a surprise final."
Ecco il primo capitolo, per avere un assaggio, buona lettura!
Era la vigilia di Natale.
Tutto sembrava scorrere nell’assoluta monotonia, come sempre, nella città di Mestre, disordinata e decadente cittadina accanto alla splendida ed eterna Venezia. Le mamme portavano i bambini al patronato, annoiate e stanche, tra le vaporizzazioni cristalline della nebbia, i capelli raccolti in una coda veloce, per la messa di Natale. A turno i bambini dovevano cantare “Albero, bell’ albero” o nel migliore dei casi “Tu scendi dalle stelle” davanti all’altare, in gruppi di sei, sette.
E’ qui che compare il nostro strano personaggio. Io. Francesca. Uno scherzo della natura.
Non si sa bene il perché l’erba si ostini a crescere tra le crepe del cemento, perché le donne, le persone di colore o gli omosessuali non si stufino mai, storicamente, malgrado la solitudine e le incomprensioni, di difendere i loro diritti, o perché spesso i figli dei business men sfoggino un abbigliamento da mercatino dell’usato di Bologna, talento nella chitarra, ed allergia per i bilanci aziendali, comunque fatto sta che alzai la mano entusiasta quel giorno a sei anni in chiesa, il parroco mi guardo con compassione e mi face cenno di venire, malgrado non facessi proprio parte del gruppo del coro. Arrivai all’altare frettolosa ed agitata e, con grande convinzione, con l’aiuto della potente acustica del grande tetto di cemento armato anni 70’, intonai:
“E Ancora ti chiamerò, trottolino amoroso, du du da da da, e il tuo nome sarà, il nome di ogni città, e un gattino annaffiato che miagolerà, il tuo nome sarà su un cartellone che fa, della pubblicità, sulla strada per me ed io con il naso in su, la testa ci sbatterò, sempre la, sempre tu …”
Guardavo fisso il volto di mia mamma illuminarsi ,mentre si tratteneva da una grassa risata allegra. Fu un successo. Ad un tratto, per la prima volta, la chiesa rideva. Bastava così poco, una piccola perdita di controllo, a rendere un posto dove i bambini non volevano andare in un momento di gioia. Riuscì ad arrivare fino alla fine della canzone inventando di tanto in tanto le parole.
Presa dall’entusiasmo continuai a coltivare la mia dote canterina, ad esempio con le canzoni di Tina Turner: inventavo di sana pianta le parole, non sapevo nemmeno che esistesse la lingua inglese, e mi agitavo come una trota fuori dall’acqua per poi cadere per terra esausta alla fine del brano. Oppure con le canzoni di Irene Grandi: correvo in mezzo ai presenti a passo saltellato, cercando di toccare il maggior numero di persone possibili, scombinandogli i capelli e cantando:
“Bum Bum, batte il cuore, Bum Bum, il mondo è un giro tondo, no che non scendo. Ancora, Bum Bum, batte il sole, Bum Bum, la vita gira in tondo, casca giù il mondo...”
alla fine della canzone cadevo sempre per terra, anche in quel caso. Il trucco per il successo era la convinzione e l’esagerazione, pensavo.
Amavo cantare da sola in piscina, quando mamma e papà mi portavano, con braccioli e salvagente gonfiabile (potete immaginarvi la scena), cercavo di inventare nuovi testi, per lo più molto romantici, ricevendo ogni tanto un mezzo sguardo sconsolato, ma divertito, dai miei genitori.
Se non altro quello era l’unico modo per far ridere il bambino dei miei sogni, che altrimenti non avrebbe mai saputo della mia esistenza. Diciamo che, si, ricordava il mio nome. L’aveva detto un paio di volte ad altri, senza mai guardarmi in faccia. Passavo le giornate ad osservarlo di nascosto, nei suoi strani modi da bambino speciale, che inspiegabilmente aveva già sviluppato una sua indipendenza di pensiero. Sbirciavo i suoi folti peli biondi sulle sue gambe incrociate, nel cerchio della riunione scout, attorno al fuoco. Cosa avrei dato per accarezzare quei peli luminosi, che decoravano così perfettamente la sua pelle dorata che profumava di erba fresca. Cosa avevano mai di tanto speciale quei peli?! Col senno di poi ben poco. Un pelo è pur sempre qualcosa di superfluo, e non solo quello lo è. Ma quando si è giovani ed inesperti spesso il desiderio si concentra su cose di poco valore. Il valore è sempre dentro di noi. Sta di fatto che ci vollero anni perché mi deconcentrassi da quel pensiero così dolce, quanto amaro. Farlo ridere era poco, ma era già qualcosa. Una prova della mia esistenza su questa terra.
Essendo l’unica bambina della scuola elementare incapace di fare l’esercizio della “ruota”, odiavo la competizione e ai corsi di danza, con le ragazzine che con i loro esili corpicini ruotavano le gambette in modi che a me comunicavano solo una grande mancanza di gravità e pericolo, scappavo con il cuore in tumulto, dentro di me una vergogna profonda ed inconsolabile per la mia diversità. Non potendo partecipare come le altre al balletto di fine anno, molto tempo lo dedicavo a disegnare, con il naso spiaccicato al foglio da disegno e la bocca spalancata, la bava che, se non mettevo attenzione, usciva dalla bocca in lunghi e imbarazzanti fili lucenti. Cadevo quasi in trans, minuziosa nei minimi particolari, inconsapevole che tutte quelle ore mi avrebberò fottuto la vista e complicato la vita per sempre, facendomi osservare le cose, ma soprattutto le persone, solo da molto vicino.
Francesca Bonollo